Lui & Lei
La Ruota Degli Attimi
di Karenina_Vronskij
21.04.2020 |
2.698 |
8
"L’indomani, per Sciaron fu una giornata infernale, tutto ciò che aveva desiderato sembrava essere lì per essere afferrato, ma qualcosa le sfuggiva..."
ADALBERTOIl telefono squilla insistente mentre il Notaio Adalberto L. è immerso nei suoi pensieri seduto alla scrivania del suo studio.
Adalberto è l’ultimo di una famiglia di Notai, il padre di 83 anni ancora esercita. Una nobile famiglia la sua, sono Marchesi, lo studio è sito in un bellissimo palazzo seicentesco nella piazza principale di una piccola cittadina a 5km da Treviso, ed è di proprietà della famiglia da secoli. La famiglia è socialmente molto esposta: sostegno a politici, attività benefiche, promozione convegni.
Tutto questo ad Adalberto interessa poco, molto poco. È quasi una sofferenza per lui incontrare persone, finanche nel suo studio. Detesta il flusso di persone che si affannano ad indossare maschere per sembrare qualcosa che non saranno mai.
Il lavoro poi: Atti societari, ipoteche bancarie, riunioni con managers dalla faccia di plastica, una vera sofferenza. Per fortuna, il suo studio è specializzato in atti testamentari, questa è la sua unica passione professionale la sola cosa che lo tiene attaccato a quella professione che in fondo odia.
Voleva fare il medico Adalberto, l’anatomopatologo, era il suo sogno fin da piccolo, sogno mai messo da parte anche essendo ben consapevole che il suo destino era ineluttabile, Notaio.
Adalberto è l’ultimo erede maschio di un’antica famiglia nobile veneziana, troppe volte mischiata con sé stessa. Tra i sui avi figurano vescovi e cardinali, ambasciatori e capitani di mare e finanche un Doge ma figurano anche personaggi che si sono macchiati di abiezioni tali che soltanto il tempo è riuscito a cancellare coadiuvato, ovviamente, dalle abili omissioni di storici appositamente finanziati dalla famiglia.
Oggi, di quel passato non esiste più nulla nei libri di storia, si legge solo di una gloriosa stirpe che rientra nel novero delle migliori famiglie del Veneto, dietro ogni iniziativa benefica benedetta dal vescovo si ritrovano loro come esponenti principali.
Ma la natura non cede il passo a storici compiacenti, lei continua a scrivere il libro della storia della famiglia a lettere indelebili, non su carte ammuffite, ma nei nascosti recessi a spirale del DNA dei suoi componenti.
Adalberto è un quarantenne che raggiunge a stento un 1,60 m, sempre più di suo padre comunque, con un fisico magrissimo solo tendini e muscoletti. La sua testa è grande, una sfera quasi perfetta con un viso pallido accentuato da una calvizie precoce. Le sue labbra sono rosse ma carnose e pendenti e fanno da contrasto a due occhi nerissimi spesso arrossati dalle troppe ore passate sui libri nell’oscurità, sottolineati da due spesse sopracciglia. Il naso importante insieme ad una carnagione che sarebbe scura se solo prendesse il sole, ne tradisce le origini semite, ma lui odia il sole e quindi la sua pelle mostra riflessi verdognoli. Il suo sguardo è fiero, denota una profonda intelligenza. Nonostante il corpo esile, Adalberto è agile nei movimenti e può vantare una resistenza alle malattie ed allo sforzo fisico davvero eccezionale.
Come per volerlo compensare di un corpo così esile, la natura lo ha dotato di un cazzo enorme, qualcosa di sproporzionato, 26,5 cm per 8 cm di diametro, da fare invidia ad un asino. Adalberto, il suo cazzo, lo ama e lo odia, da sempre.
Lo odia nel suo mondo fatto di apparenze e perbenismo, dove tutto ciò che è sesso non è tollerato. I suoi larghi pantaloni sartoriali sono realizzati proprio allo scopo di occultare tanta sconcezza ma lo ama in quell’altro mondo fatto di odori, umori ed immagini che nessun’altro deve vedere tranne lui che ne trae un piacere profondo.
Intanto il telefono continua a squillare “Notaio fuori c’è l’avvocato Vanzetti e il dottor Togliatti della banca Unicredit per la firma dell’ipoteca per quella pratica di mutuo. Ah mi scusi c’è anche la signora Adelina per il testamento della sua mamma. Cosa faccio?” squittisce la segretaria con aria allegra ma deferente. “Guardi signorina, faccia entrare la signorina Adelina. Gli altri li faccia parlare con la Enza, ormai è più brava di me. Che se ne occupi lei, io passerò alla fine solo per la formalizzazione degli atti” risponde secco Adalberto.
Adelina è una zitella da sempre, un ‘anima nascosta in un corpo che non ha mai vissuto, del tutto votata alla madre con la quale vive in simbiosi da cinquant’anni, ormai. Le fa da segretaria, da donna delle pulizie, da cuoca, da amica, tutto ciò per rendere piacevole la vita alla dispotica vecchietta.
La madre le ricorda continuamente che vista la sua bruttezza nessun’uomo la sposerebbe mai e quindi deve esserle grata che lei la tenga in casa, altrimenti morirebbe di fame. Per essere sicura di soggiogare bene la poveretta, la donna non le ha fatto nemmeno terminare le scuole dell’obbligo insegnandole direttamente quelle poche nozioni necessarie per farle da aiutante.
L’aspetto di Adelina è oggettivamente deludente, mora e magra, sempre vestita di nero, l’estetista non sa neppure cosa sia come anche l’attività fisica. Il suo corpo è già cadente, una leggera peluria le segna le labbra e l’idea di due seni vuoti traspare da dietro una casta scollatura.
SCIARON
Intanto a casa di Adalberto sua moglie è appena tornata e già dispensa secchi ordini alla servitù, ha lo sguardo duro, corrucciato, si nota molto bene che ha appena smesso di piangere.
“Io vado a fare la doccia, quando il Notaio torna ditegli che non ceno, ho un terribile mal di testa” sibila Sciaron.
Si chiama proprio così, Sciaron, il suo nome deriva dalla sfortunata combinazione della passione della madre per le soap opera americane di un padre che nel registrarne la nascita era troppo ubriaco per spiegarsi e di un’anziana impiegata dell’anagrafe che l’unica lingua straniera che conosceva era l’italiano. Alla fine tutti d’accordo, o quasi, era nata Sciaron.
Sciaron ha 28 anni, e una donna davvero bella, una bellezza assoluta che non necessita di trucchi, basta a sé stessa. È stata proprio la sua bellezza a segnarne la vita. Fin da piccola le veniva perdonato tutto, sguardi di indulgenza misti ad ammirazione coronavano l’ennesimo perdono per questo o quel capriccio. La ragazza capì presto come sfruttare quel dono per ottenere tutto ciò che voleva mancando di sviluppare altre qualità che magari richiedevano impegno da parte sua. Fin dalle medie era diventata abilissima a manipolare i suoi compagni per ottenere piccoli favori come farsi fare i compiti a casa, poter copiare, essere sempre invitata alle feste, alle gare sportive insomma per lei la strada è sempre stata in discesa. Sciaron diceva sempre che non capiva perché dovesse studiare e sgobbare sui libri quanto poteva avere tutto ciò che voleva con un semplice sorriso. Dopo il diploma ottenuto nel solito modo, ma con il minimo dei voti, ha iniziato a guadagnare utilizzando la sua unica risorsa, il suo corpo. In verità, già da adolescente aveva capito che una semplice foto osé scambiata in chat può far guadagnare molti soldi divertendosi fino a capire che per un pompino di 10 min un uomo è disposto a spendere tutto ciò che ha guadagnato in un intero giorno di lavoro. “Sono proprio degli esseri stupidi gli uomini” ripeteva sempre Sciaron, sicura di sé.
L’incontro tra Sciaron ed Adalberto era avvenuto in condizioni molto singolari, lei ama raccontare alle sue amiche di averlo preso all’amo come un merluzzo.
Un giorno mentre leggeva un giornale locale fu colpita da un articolo di gossip dove il giornalista si sperticava in lodi per la famiglia L. che aveva finanziato la ristrutturazione di un intero reparto all’ospedale di Treviso. Nell’articolo si parlava poi di quanto la famiglia fosse munifica e del Marchese, esempio di rettitudine, di attaccamento al lavoro ed ancora single. La ragazza, venne colta da un pensiero fulminante, quasi un’ossessione, “Quell’uomo deve essere mio prima che qualche puttanella ne approfitti, non mi interessa chi è e com’è, mi interessa soltanto che diventi mio” sussurrava tra sé e sé Sciaron.
La buona occasione non si fece attendere ed una donna decisa come lei non poteva assolutamente perderla. Qualche settimana dopo aver letto l’articolo, un amico le confidò di essere stato contattato per l’intrattenimento musicale a casa del Marchese L. per una raccolta di fondi. Sciaron subito pregò l’amico di prenderla con sé come ragazza immagine, corista o qualsiasi cosa lui voglia pur di entrare in quella maledetta casa, “Di certo non te ne pentirai” disse con sguardo lascivo lei”.
Era un venerdì sera, la villa sul Terraglio era illuminata a festa, Marzo aveva donato una settimana bellissima e Sciaron era eccitatissima oltre che decisa ad entrare e mai più uscire da quella villa se non come la signora L.
Lei mise in campo tutte le faccine, tutte le moine, tutto ciò che aveva sempre funzionato con gli uomini. Quando incrociava il Marchese ogni sguardo era un invito, ma lui restava impassibile. La serata era volta al termine e lei non era riuscita neppure a rivolgere la parola alla sua preda, nemmeno quel biglietto fatto scivolare nella tasca dell’uomo aveva sortito alcun effetto. Suo malgrado, fu costretta a lasciare la villa così come era arrivata, dalla porta sul retro accompagnata dalla severa governante.
Per la prima volta nella sua vita Sciaron era stata rifiutata, la sua preda non l’aveva neppure degnata di uno sguardo, trattata come una puttanella qualsiasi. Lei che aveva fatto piangere uomini adulti, lei che aveva fatto inginocchiare il suo insegnante delle superiori che implorava un bacio.
Dopo circa un mese, mentre beveva pigramente un prosecco in centro le arrivò una telefonata, numero sconosciuto. Un tono secco, quasi insolente, una voce profonda si qualificò come il dott. L. e le disse che la chiamava per un biglietto che si era ritrovato in tasca circa un mese fa.
Si scusò per non averla chiamata prima ma la causa erano gli impegni i quali avevano il sopravvento, “E’ comunque l’ho fatto oggi” tagliò corto lui. Sulle prime Sciaron credette in un diabolico scherzo delle amiche ma poi i troppi particolari relativi a quella sera rivelati da lui non le lasciarono dubbi, era a telefono con il Marchese in persona!
Adalberto l’invitò a cena per la sera stessa, si scusò per l’approccio così diretto cercando di spiegare che per lui il tempo è merce preziosa quindi non poteva impiegarlo in attività dispendiose come un corteggiamento. Lei accettò immediatamente, per le 20:00 alla Torre, tra i migliori ristoranti della città. Nel caso lui avesse tardato per qualche motivo lei si sarebbe potuta accomodare, tutti l’aspettavano, e gli aperitivi avrebbero reso più lieve l’attesa.
“Ciao stronzi, da domani chiamatemi Marchesa. Forse vi faccio guidare la mia carrozza” disse spavalda Sciaron. “Ci sei cascato anche tu vecchio porco, vedrai come ti farò piangere. Mi implorerai solo per odorarmi la figa, ti farò pagare il fato di avermi trattata con sufficienza” pensò gongolando la ragazza.
Adalberto arrivò con 15 minuti di ritardo al ristorante, entrando deciso si diresse verso la sala riservata dove Sciaron stava bevendo champagne ed intrattenendo il cameriere narrandogli la storia della sua vita, come se valesse la pena raccontarla.
“Buonasera signorina, mi scuso per il ritardo, ma vedo che ha trovato l’occasione per ingannare piacevolmente l’attesa” le disse Adalberto. La serata passò velocemente con Sciaron che non smetteva di parlare ed Adalberto che annuiva di tanto in tanto. Alla fine della serata Adalberto la guardò fissa negli occhi “Guardi signorina, come le ho già detto non amo sprecare il tempo in frivolezze, quindi sarò sincero con lei. Sarebbe per me un piacere sposarla sempre che a lei vada bene. Se accettasse avrebbe libertà di scelta su tutto, sarà mia cura metterle a disposizione tutte le risorse di cui avrà certamente bisogno per organizzare la cerimonia nel modo migliore possibile. Se accetta, ci sposeremo il 5 Maggio nella cappelletta adiacente alla villa” le disse in maniera molto stranamente piatta ma gentile Adalberto.
Sciaron rimase scioccata, questa poi non le era mai successa, “Il vecchio porco vuole sposarmi, ma cosa gli passa per la mente. Sarà un pazzo, uno bacato. Chissà cosa avrà in mente”.
“Senta signorina, capisco che la mia proposta possa suonarle impropria, magari azzardata, ma dal tono del suo biglietto traspariva un certo interesse verso di me. Ma non voglio farle perdere tempo quindi ci pensi pure fino a domani alle 20” disse serio guardando l’orologio Adalberto. “Tra l’altro devo andare, è davvero troppo tardi e domani devo svegliarmi presto. C’è un taxi fuori che l’aspetta per accompagnarla a casa. Buona serata Signorina” continuò Adalberto.
L’indomani, per Sciaron fu una giornata infernale, tutto ciò che aveva desiderato sembrava essere lì per essere afferrato, ma qualcosa le sfuggiva. Dubbi. Incertezze. “Basta dubbi, ho quello che volevo, poi riuscirò a manipolare il vecchio porco senza problemi. Di cosa sto avendo paura?” pensò alla fine la ragazza. “Accetto Marchese, devo dirle che lei ha scelto la donna migliore per farle da moglie” le disse a telefono decisa Sciaron. “Sono soltanto le 11” fu il commento secco del Marchese mentre Sciaron esultava tronfia dentro di se “25 anni e già Marchesa!”.
Il 5 Maggio, quella storia strana fu sugellata da un contratto matrimoniale, come amava definirlo Adalberto.
QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA
“Venga, si accomodi signora Adelina” dice gentilmente Adalberto, “Come sta sua madre. Cosa posso fare per voi?”. “Guardi notaio sono imbarazzata ma la mamma vuole ancora cambiare il testamento, è pazza quella lì e sta facendo impazzire anche me. Le ho donato la mia gioventù ed ecco a cosa mi sono ridotta” le rispose Adelina. “Facciamo così, lei passi con calma domani a casa mia alle 17:00. Sa dove abito vero? Qui non si riesce a lavorare in pace ed il vostro caso va affrontato con attenzione e tatto”. Per un attimo lo sguardo di Adalberto indugia sui seni di Adelina, seni mai violati dall’allattamento, un solo attimo che riassume un lungo retro-pensiero.
Adalberto congeda Adelina ed esce veloce dallo studio, non vuole che qualcuno lo fermi con noiose domande di lavoro, lui sta già inseguendo i suoi pensieri. Non vede l’ora di tornare a casa Adalberto, di poter sedere nel suo studio privato, tra le sue cose, immerso nel suo mondo. Solo lì può davvero essere sé stesso.
“Buonasera Marchese, la signora mi ha detto di dirle che stasera ha un forte mal di testa e che quindi non cena. Quando vuole possiamo servirle la cena nel salone” gli dice con tono professionale la governante.
“Va bene signora, mi dia un’oretta per prepararmi poi può servire la cena” risponde lui.
Adalberto entra in camera e trova Sciaron che, come al solito, chatta sul suo smartphone distesa a letto. Si vede bene che è giù, il bellissimo volto è incupito e gli occhi rossi denunciano un lungo pianto.
“Mi dispiace vederti così, ma nello stesso tempo tutto ciò ti rende più interessante ai miei occhi. Si sapeva che quell’ingegnere di Vicenza ti avrebbe mollata, anche il personaggio poi, lo aveva costruito proprio male. Chi non ha mai potuto guardare al di sopra del soffitto può soltanto immaginare cosa ci sia e qualsiasi tentativo di imitazione diventa soltanto una triste controfigura. Vedi, alla fine lui si è scaricato e poi ti ha scaricata, e con il fluire dei suoi umori sono scivolate via anche le tue speranze, per l’ennesima volta. Ed eccoci qui noi due, di nuovo soli, in questa grottesca simbiosi” le dice Adalberto con tono monotono senza che traspaia alcun risentimento. Lei sa benissimo a cosa allude, non ha nessuna forza per rispondergli, nessun argomento, ha ragione lui, odia il fatto che lui abbia sempre ragione. Sciaron, da quanto ha sposato Adalberto, tre anni fa, ha iniziato a capire che la bellezza è soltanto una questione di punti di vista. Adalberto, subito dopo il matrimonio le ha confessato che la decisione di sposarla era soltanto dovuta al fatto che per lui era essenziale zittire sua madre, la Marchesa Rachele. La Marchesa madre è una donna della vecchia nobiltà veneziana, un carattere impossibile racchiuso in un corpo scheletrico. La cofana, orgogliosamente bianca, le fa da copricapo ed una lingua sempre in moto e molto tagliente semina il panico in famiglia. I due maschi, il povero marito ed Adalberto, avevano negli anni sviluppato efficientissime tecniche diversive per evitare gli strali della Marchesa. Una delle tecniche preferite di Adalberto è quella di dirle sempre di sì, farla contenta, per poi continuare a fare ciò che vuole.
Ecco svelata l’identità della benefattrice di Sciaron, lui aveva soltanto preso al balzo l’occasione di quel biglietto, forse troppo audace, per chiudere la bocca alla Marchesa che chiedeva insistentemente una moglie per suo figlio. “Per zittire i pettegoli” diceva lei.
Ad Adalberto, Sciaron non dispiaceva come moglie, non eccessivamente dotata intellettualmente, fisicamente compatibile con le aspettative per la moglie di un Marchese. Un abito da grandi eventi che poteva indossare quando voleva e, soprattutto, il genere di donna più lontano possibile da ciò che lui davvero desiderava.
“Io mi faccio una doccia e vado giù a cena, se vuoi ti mando su qualcosa. Pensaci e fammi sapere” le dice Adalberto mentre Sciaron, ogni volta che lo guarda nudo, si rammarica del fatto che tanta abbondanza sia stata attaccata proprio a quel corpo lì. “Qualcosa, nell’atto creativo di Dio, deve essere andata storta” pensa lei mentre si tocca il buchino dietro, ancora sanguinante, muto testimone dell’ultimo rapporto che hanno avuto una settimana prima.
UN PICCOLO MONDO PARALLELO
Adalberto cena velocemente e si reca nel suo studio privato. Avvolto nella sua poltrona in ebano e pelle scura, con la porta chiusa, si guarda intorno e sorseggia un Armagnac. Nessuno può entrare in quella stanza se lui non vuole e chi ci entra è solo perché ne uscirà diverso. Intanto pensa “Adelina sarà qui domani alle 17:00, bisogna preparare la pratica”.
Lo studio, rettangolare, è arredato in maniera particolarissima, i mobili sono tutti in ebano africano, lo stile è chiaramente gotico, libri di medicina sono disposti in maniera ordinata, divisi per materia, sulla libreria che copre tutte le tre pareti libere passando a ponte sulla porta mentre la parete opposta alla porta è finestrata con un elegante serramento in vetro decorato e piombato.
La porta di ingresso è sulla destra di uno dei lati corti della stanza. La sua pesante scrivania di ebano e bronzo occupa la parte sinistra della stanza con il lato lungo parallelo a quello della stanza in maniera che il suo lato destri sia verso la porta di ingresso.
Un corpo sezionato e plastificato di donna racchiuso in una teca di vetro è posto accanto ad una piccola porta in legno massello rinforzata con placche di metallo, la sua stanza del piacere che si trova sul lato opposto alla scrivania nei pressi della finestra.
Sulla parete di fronte alla scrivania campeggia un bellissimo quadro di Bosch una copia esatta, opera di un bravissimo pittore veneto, del Trittico “Il giardino dei piaceri terrestri trittico” del 1504. Adora quelle forme mostruose, sono piene di sentimento, lo rendono vivo dentro, vorrebbe essere uno di loro, tra di loro.
Un vecchio grammofono è poggiato sul mobile dei liquori sotto il quadro, adora la musica Adalberto, lo rilassa. A lui non interessano tutte le diavolerie moderne, lui ascolta soltanto i vinili, ne adora la consistenza, il suono poi, è inimitabile. Stasera ha voglia di qualcosa che gli dia la carica, sceglie 'Die Walküre''di Wagner, composto tra il 1854 ed il 1856 e rappresentato per la prima volta in Italia nella sua Venezia il 15 Aprile 1883 nel teatro La Fenice, lui possiede una delle prime edizioni su vinile.
Nulla in quello studio ricorda la sua professione di Notaio, la pratica di Adelina poggiata sulla scrivania è l’unica nota stonato in un ambiente coerente.
Adalberto mentre gusta in suo Armagnac, inizia a masturbarsi, si gode ogni movimento della mano, ossessivamente lento, mentre osserva davanti a sé, accanto al grammofono, un utero in formalina, dono del suo caro amico Ulderico primario di Anatomia Patologica dell’Università di Padova.
Quella visione lo eccita profondamente, ne ha tanti di reperti simili Adalberto, tutti ben classificati, “Sarei stato proprio un ottimo medico” pensa triste tra sé e sé continuando a segarsi lentamente. “Potrebbe essere quello di Adelina, chissà il suo com’è. potrei entrare dentro di lei ed arrivarci a toccarlo, fisicamente ne ho i mezzi, chissà” farfuglia eccitato. Non vuole venire subito, non può sprecare in maniera così banale un momento di estasi quasi sacra. Si sega con calma, con il dito indice sfiora il frenulo ed alternativamente sfiora delicatamente la cappella, una goccia di Armagnac gli cola dai lati della bocca.
Lo schermo posato sulla scrivania lui riflette le immagini delle 11 telecamere di sicurezza sparse in tutto il palazzo, vede sua moglie ancora sul letto che chatta. “Cosa avrà mai da dire? A chi, poi?” pensa distaccato mentre continua a segarsi. C’è frenesia in casa, il personale di servizio si muove veloce, lui invece è nel suo mondo, rilassato, tra le sue gioie. Accanto allo schermo è appoggiato un grosso album di fotografie in pelle scura, c’è scritto “Attimi di felicità”.
Lo sguardo torna sul contenuto del vaso in vetro dinnanzi a lui, lo eccita davvero tanto, non smette di guardarlo mentre continua a segare quel cazzo enorme. Le vene sembrano scoppiare, la cappella è rossa e turgida, sente il calore del sangue che ci scorre dentro, sente l’energia, la vita che lo attraversa. Il ritmo aumenta, il frenulo è sensibilissimo, intinge un dito nell’Armagnac e si massaggia le palle piene di sperma, poi massaggia quella sensibilissima zona tra lo scroto e il buchino dietro. Tutto intorno a lui gira vorticosamente, il ritmo si è fatto veloce, stringe il cazzo con vigore, vorrebbe staccarlo, è tutto un pulsare. Ormai le palle non reggono più, devono liberarsi, lo sperma esce copioso, la mano è fradicia, ne viene fiori sempre tanto anche se è materiale sterile che non potrà mai dare la vita. “Adelina, anche tu passerai come passano tutte, i miei attimi di felicità” sussurra ansimando Adalberto con gli occhi socchiusi e lo sguardo perso. Quando eiacula ha sempre un momento di distacco dalla realtà, pochi minuti che lo portano in un altro mondo, dove sono soltanto lui ed il suo amato cazzo.
L’ENNESIMO ATTIMO DI FELICITA’
La giornata è passata lentamente, troppo lentamente, è sempre così quando ci sono grandi aspettative, sembra che tutti abbiano deciso di darsi appuntamento nel suo studio notarile quel giorno.
Adalberto sbriga il lavoro con la massima efficienza, più veloce sistema le pratiche prima potrà liberarsi da quel supplizio. Le sue collaboratrici sono sull’orlo dell’esaurimento, non hanno nemmeno potuto pranzare, il loro capo è iperattivo, da ordini perentori, fa più cose insieme, è freddo, lucido ed efficiente.
Finalmente riesce ad uscire dallo studio, sono le 16:30, entra nella sua Bentley Mulsanne, una macchina fantastica ma troppo grande per le sue misure, e velocemente guida verso casa.
“Dovrebbe arrivare una cliente, la signora Adelina, l’accompagni nel mio studio privato e poi vada via” ordina alla governante. La governante ha assistito a questa scena, tante, forse troppe volte, quasi non ci bada più. “Va bene Marchese”, risponde in modo professionale la donna.
Alle 17:00 esatte la governante bussa allo studio privato di Adalberto e poi discretamente va via lasciando Adelina da sola ad aspettare che la porta si apra.
“Entri signora, si accomodi, ho qui la sua pratica, la stavo studiando” le dice gentile il Notaio dopo averle aperto al porta invitandola ad entrare.
“Prenda, beva qualcosa, vedo che è trafelata. La tirerà su” le dice Adalberto porgendole un bicchiere di Armagnac. “Signor Notaio la ringrazio, al massimo io bevo il rosolio, non so che effetto possano farmi questi liquori stranieri” gli risponde imbarazzata da tanta gentilezza Adelina. “Stia tranquilla Adelina, posso chiamarla Adelina o si offende? Lei mi chiami Adalberto. Beva vedrà che la farà sentire subito meglio. Più rilassata”. Adalberto inizia a parlarle del quadro di fronte a loro, di come il bello ed il brutto siano in fondo facce della stessa medaglia, Cita Umberto Eco parlando di elogio della bruttezza, disquisisce del concetto di bene e di male e di come essi rappresentino lo stesso ente. Adelina è del tutto persa, continua a ripetere meccanicamente “Si Adalberto” senza comprendere davvero ciò che l’uomo le stia dicendo. È del tutto persa Adelina, sarà l’effetto del liquore, sarà l’eloquio piacevole e forbito di Adalberto ma lei ormai è come una piccola barca tra le onde alte di una tempesta, disposta a farsi trasportare ovunque essa voglia. Adalberto è affascinato da quella donna vestita di nero, i capelli brizzolati tenuti su da un nugolo di ferretti, senza un’ombra di trucco. La leggera peluria nera che le definisce sulle labbra e le sue mani strette a pugno ma vistosamente provate dai lavori di casa rendono la donna irresistibile ai suoi occhi. “Vedi Adelina, tu sei l’essenza del desiderio per me. Rappresenti il piacere estetico assoluto, sei oltre il concetto stesso della fusione tra il bello ed il brutto. Apprezzare una donna come te è un dono che soltanto pochi esteti possono vantarsi di avere” continua a sussurrarle suadente Adalberto. Nessuna delle sue parole suona falsa, egli né è davvero affascinato, la sta amando come ha amato tutte le altre. “Il poliamore Adelina, è qualcosa che bisognerebbe insegnare ai bimbi da piccoli, è il superamento dell’ego, un gesto di generosità assoluto. Io riesco ad amare nello stesso modo, con la stessa intensità e nello stesso tempo più creature speciali come ma riesco anche a detestare nella stessa maniera altre creature, anime indegne vestite di corpi vistosi” continua a dirle all’orecchio Adalberto, facendole sentire il suo fiato caldo che le accarezza i lobi.
Intanto le versa un altro bicchiere e continua a parlarle con tono basso, quasi bisbigliando, mentre, in piedi dietro di lei, con le mani inizia a massaggiarle le spalle. “Adelina, mia cara, se vuoi puoi andare. Nessuno ti trattiene qui contro il tuo volere ma se resti mi rendi felice” le dice il Marchese mentre lei continua ad annuire biascicando un incomprensibile “Sto”. I due sono al centro della stanza, Adelina seduta ed Adalberto in piedi dietro di lei, di fronte il quadro di Bosch con le sue figure grottesche e più in là l’utero in formalina, muto testimone di quanto accadrà.
Questa situazione fa impazzire Adalberto, il suo cazzo è già durissimo e lo spinge sulla schiena di lei. Adelina non ha mai visto un cazzo, né dal vero né al cinema o sui giornali ma intuisce bene cosa stia succedendo alle sue spalle. Lui inizia a passarle la lingua sulle orecchie, lei sente il suo respiro che si fa affannoso, ne sente l’umidità, sente la sua lingua che le scava nelle orecchie alla ricerca di qualcosa, non tralascia un solo angolino mentre il cazzo, ormai enorme e durissimo ma ancora nei pantaloni, le scorre tra le spalle.
Adelina è bagnatissima, non le era mai successo qualcosa di simile, nemmeno quando nelle tante tristi notti si toccava, nel terrore di essere scoperta dalla madre. Avrebbe voluto infilarsi qualcosa dentro quelle notti, qualsiasi cosa che ricordasse un cazzo, Adelina, ma sapeva che la madre nel corso delle sue frequenti ispezioni al suo imene si sarebbe subito accorta della lacerazione e l’avrebbe duramente punita.
Ora tutto questo non le importa più, la sua figa è gonfia e pulsa, sembra si sia fatta la pipì addosso tanto è bagnata. A pensare che quel cazzo superbo le sta soltanto scopando le spalle. Adalberto intanto inizia a baciala, passa la lingua sopra le labbra per sentirne la peluria, poi inizia a esplorarle la bocca, sopra i denti, poi dietro di essi, intorno alla lingua, è una furia l’uomo, sembra si stia cibando di lei. Mentre la bacia la riempie di saliva, ama farlo, vuole sentirla bagnata di lui, il suo sapore mischiato a quello della pelle di lei. L’atto di versarle la saliva in bocca è un modo per entrarle dentro anche attraverso lo stomaco.
Le mani piccole ma tenaci di lui le strappano via il reggiseno di cotone bianco, da adolescente, dopo averle tolto la maglia nera a collo alto. Quel modo di vestire è per lui ragione di pazzia, lei è davvero la donna perfetta, come potrebbe non amarla? Le dita dell’uomo giocano sicure con i suoi capezzoli “Nessun estetista ha mai violato la tua bellezza Adelina, i peletti neri che coronano i tuoi capezzoli sono come i petali intorno alla corolla di una nera rosa” le dice lui. Intanto tirato fuori il suo cazzo e lo piazza tra i seni di lei. Non sono sodi, ha cinquant’anni, e non ha dedicato al suo corpo mai alcuna cura. “E’ una cosa da puttane dedicarsi alla bellezza figlia mia” le diceva la madre.
Adalberto stringe i seni intorno al suo cazzo e si sega spingendo con una mano Adelina a prendergli in bocca l’enorme cappella. Adelina succhia, succhia vorace, quante volte ci ha pensato, quante volte si è lasciata andare esanime sul letto dopo essere venuta sfregandosi il clitoride ma sospirando per un cazzo, un cazzo vero.
Ora lei ha un cazzo, un vero cazzo, ed uno dei cazzi più superbi che una donna possa immaginare. Adalberto non ha riguardi quando scopa, è un vero satiro, mentre va su e giù tra i seni le affonda la cappella fino in gola, spinge la testa di Adelina affinché ingoi tutto il suo cazzo, vuole scoparle la glottide.
Adelina non cede, inghiotte tutto, si fa scopare la gola senza un lamento, è forte lei, temprata da anni di sofferenze inflitte dalla madre. Ora che prova piacere non ha intenzione di lamentarsi di nulla, accetterà tutto ciò che Adalberto vorrà donarle, il suo corpo sarà dedicato al piacere di lui. Intanto l’uomo con potenti colpi continua a scivolarle tra i seni ed a dilagarle in gola mentre lei le accarezza le palle ed il perineo facendolo eccitare ancora di più. Lui le prende la mano e la porta davanti al suo buco del culo, il messaggio è chiaro ma Adelina non sa che si possa anche scopare il culo di un uomo. Lui le prende un dito, lo succhia e poi se lo infila dietro invitandola ad andare su e giù. Lei esegue ansimando per la mancanza d’aria dovuta al cazzo di Adalberto che le ostruisce la gola.
Adelina è un giunco, sembra debole ma è tenace, riesce a prendersi in gola il cazzo dell’uomo quasi soffocando e riesce a scopargli il culo ormai con tre dita, facendolo impazzire di piacere, senza dire una parola, senza lamentarsi. La donna non dice una parola nemmeno quando Adalberto viene e lasciate le tette le prende la testa con entrambe le mani e la spinge sul suo cazzo dandole un forte colpo in gola quasi a volerla soffocare mentre un copioso fiotto di sborra le riempie l’esofago, mentre lei continua attenta scoparle il culo accompagnandolo nell’estasi dell’orgasmo. Vuole che il suo uomo goda, goda di lei, di quel corpo mai violato che non ha mai potuto dare piacere ad alcun maschio.
L’accarezza Adalberto, estraendo il cazzo dalla bocca di lei, pieno di saliva e di sperma, lei respira a fatica, con la bocca ancora piena lo guarda con occhi riconoscenti mentre una lacrima le riga il viso. “È questa la felicità? È questo il tanto decantato amore tra un uomo ed una donna?” si chiede lei.
Non ha mai provato questa sensazione Adelina, tutto le gira intorno, il cuore corre forte, la figa pulsa, gli slip sono fradici. Adalberto non è mai sazio, il satiro che è in lui esige carne, e carne avrà.
Lui le fa cadere la gonna nera e le strappa via le adolescenziali mutandine bianche, un folte cespuglio di peli brizzolati le nascondono molto bene la figa, ne ha tanti di peli Adelina, sempre stato così. Le mani di lui si fanno strada tra i peli alla ricerca del clitoride, è come muoversi in una palude, umida e piena di piante. Intanto la sua bocca vorace succhia quei capezzoli che non hanno mai allattato, quasi volesse estrarne l’anima della donna.
No, non può sverginarla con le dita, Adalberto lo sa, è una cosa troppo preziosa per sprecarla così, quindi contiene la sua irruenza e si limita a stimolarla esternamente mentre i seni sono ormai viola a causa di quella vorace bocca.
Il suo cazzo è di nuovo durissimo, Adalberto la stende sul tavolo, tra le carte, e le salta su puntando il suo cazzo davanti alla stretta ed inviolata entrata della figa di lei. La donna è un automa nelle mani di lui, lascia fare, sa che tra un po' sarà riempita dal suo enorme sesso, e nulla sarà più come prima.
Adalberto le prende il viso tra le mani e la guarda negli occhi, fisso, come il serpente guarda il pulcino prima di divorarlo, “Ora entro dentro di te, nulla potrà fermarmi, in un attimo anni di privazione saranno spazzati via”, le dice ansimando Adalberto mentre con una poderosa spinta infila il suo enorme arnese nella figa della donna, Lei inghiotte in silenzio, mentre lui continua a spingere per rompere le ultime resistenze della donna, non un lamento, lei si considera un corpo donato a lui, che ne faccia ciò che vuole.
L’uomo spinge vigoroso, mentre le morde i capezzoli ed il pelo di lei avvolge il suo enorme arnese che va fuori e dentro come un maglio, tra sangue ed umori pallidi che agevolano il coito. Adelina gode, benché dilaniata dal sesso di lui comprende di godere, è molto elastica per fortuna, sogna che l’intero corpo di Adalberto scivoli in lei.
Dolore e piacere, bello e brutto, amore e sadismo, sangue e sperma, sono gli ingredienti che, benché contrastanti, si omogenizzano per generare un momento di piacere sublime. Infatti piange Adelina, le lacrime le rigano il viso, dalla figa colano gocce di sangue, il bruciore le tocca i nervi come se tanti piccoli aghi la pungessero contemporaneamente ma gode anche Adelina, gode ogni volta che lui le spinge il suo cazzo dentro, gode al pensiero di essere un corpo destinato a dare piacere al suo uomo, gode al pensiero di cosa lui possa ancora farle.
Adalberto è sudato, spinge come un forsennato, affonda decisi colpi dentro di lei sembra che lei possa assorbirlo tutto dentro di sé. L’odore acre del sudore dei due satura la stanza mischiato all’odore ferroso del sangue ed all’odore particolare dello sperma di lui. Nella stanza si respira il profumo della vita, il profumo dei sensi, quell’inconfondibile profumo che accompagna quegli attimi così speciali per Adalberto, quella ruota di attimi che continua a girare.
Entrambi hanno un respiro ormai affannoso, comunicano ansimando, nessuna parola che sia umana, ma solo rantoli di piacere, Adelina è abbracciata stretta ad Adalberto con le unghie affondate profondamente nella sua pelle mentre con la bocca lecca il sudore di lui che continua a succhiarle i seni ed a penetrarla sempre più velocemente. Sborra Adalberto e sborra anche Adelina, lei non sa cosa le stia succedendo mentre un copioso fiotto di liquido chiaro inonda la pancia dell’uomo e bagna tutta la scrivania eccitandolo ancora di più.
Lui viene ma continua a spingere, il suo cazzo non è ancora domo, spinge con forza mentre Adelina stremata lo lascia fare, ormai è apertissima e scivolosa.
A questo punto Adalberto, con lo sguardo da invasato e gli occhi rossi la prende per la spalla sinistra e con un vigoroso movimento la fa girare a pancia in giù e senza dirle una parola, afferra il suo cazzo con la mano destra, mentre le apre le natiche con la mano sinistra, ed entra con forza nel culo di lei. Nessun preavviso, nessuna preparazione, il sottile diaframma cede immediatamente sotto la spinta dell’uomo, ed urla Adelina, urla forte e piange, trema come se fosse stata investita da una scossa elettrica. Quel corpo che lei le aveva donato è stato violato ovunque, con decisione, senza nessun ritegno, da un satiro diabolico.
Eppure tra tanta brutalità si scorge comunque un sentimento, Adalberto la sta amando, l’ama a modo suo, lei in questo momento è la sua musa, è speciale Adelina. Proprio grazie a lei Adalberto sta dipingendo come un pittore un altro dei suoi attimi speciali, un altro diamante da apporre sulla sua ruota.
Sangue ed altro materiale, si mescola a tutto quanto prodotto fino ad adesso, non era preparata Adelina, nessun clistere per lei, ma lui vuole esattamente questo, è proprio tutto questo che lo eccita, lo eccitano i sapori forti, gli odori forti i lamenti di lei.
Adalberto le è ormai dentro fino alle palle, non ha fondo il culo di una donna, non c’è l’utero che protegge il resto del corpo e quindi il cazzo feroce le viola i visceri mentre lui viene ancora una volta e guardandola negli occhi le dice “Un atto di volontà” null’altro.
La stanza è satura degli umori della coppia, le carte sono tutte inzuppate, Adelina langue sulla scrivania, ormai senza forze. Non parla, non proferisce parola, sembra una bambola abbandonata da un bimbo crudele che dopo averci giocato l’ha gettata in un angolo.
L’uomo sembra tornato in sé, i tre orgasmi lo hanno calmato, aveva accumulato troppe energie con i pensieri ossessivi dei giorni scorsi, doveva buttarle fuori per non impazzire. Adalberto si siede sulla sua poltrona di pelle, sospira, e guarda il culo sfondato di Adelina che è davanti a lui sulla scrivania, gli umori vengono fuori copiosi. Con una calma innaturale, l’uomo si rilassa ed inizia a leccare tutto, le lecca il culo penetrandola con la lingua e le lecca la figa, lentamente, quasi con dolcezza. È un fare certosino, lecca ogni goccia, qualsiasi materia, è meticoloso come un orologiaio, non lascia nulla, lecca ed ingoia voracemente tutto ciò che sul corpo di Adelina ricordi ciò che è accaduto.
Ad un certo punto estrae dal cassetto una piccola sfera d’oro che apre con il pollice e lentamente raccoglie il suo sperma ed i restanti umori di lei richiudendola con un click. Si volta ed alla sua destra è appoggiata una bellissima ruota delle rinascite tibetana in vetro di Murano ed in una delle anse ancora vuote incastra la sfera d’oro, “Un altro attimo speciale” dice lui.
Adelina sembra morta, non si muove più. Ma il suo torace denuncia che la vita ancora resiste in lei. Adalberto estrae dal cassetto una scatola in acciaio inox, regalo del suo amico primario, che contiene una siringa e tutta una serie di fiale. Veloce estrae la siringa e monta un ago monouso, successivamente estrae il contenuto di una delle fiale e pratica un’iniezione alla donna. È un rimedio miracoloso, che le procura il suo amico medico, una potentissima droga che farebbe resuscitare un cavallo.
Intanto le due telecamere a circuito interno installate nello studio sono, ancora una volta, le mute testimoni di tutto ciò che accade in quella stanza.
La donna si sveglia velocemente, è tutta indolenzita, si guarda intorno stupita, se non fosse per il dolore nelle parti basse potrebbe dire di aver sognato.
Nessuno dei due dice una parola, Adalberto si è già ricomposto ma stranamente non si è ripulito il viso che ancora è bagnato degli umori dei due, ma lui sembra non accorgersi di nulla. Lei si riveste tremante, fa ancora fatica a stare in piedi, lui non l’aiuta, sembra quasi che abbia imbarazzo a toccarla.
“Buona serata signorina, la pratica la consideri definita. Passi la settimana prossima nello studio, mercoledì, verso le 17:00. La signora Enza le darà gli originali” le dice lui con voce atona ma sempre molto gentile, professionale.
“Si notaio” riesce a dire lei mentre una lacrima le segna le gote insieme ad un accenno di sorriso ed esce dalla stanza richiudendo la porta alle sue spalle.
Che sia un segno di gratitudine? Ciò che è certo è che l’Adelina che esce da quella stanza non è più l’Adelina che vi è entrata. Come in un processo alchemico, si è verificata una trasformazione. Adalberto ha preso qualcosa da lei ma le ha dato qualcos’altro.
Adelina esce dal palazzo del Marchese senza guardarsi indietro ma sa che sua madre non potrà mai più farle del male, qualcosa dentro di lei è cambiato profondamente. Adalberto, come un abile alchimista, ha trasformato Adelina nel profondo, le ha permesso di ritrovare in sé stessa una forza che non pensava di avere, il piombo è diventato oro.
Ancora una volta il male ed il bene avvolgono con le loro spire intorno alla freccia degli eventi della vita di Adalberto. L’uomo sa che l’attimo deve ancora compiersi, come tutte le volte manca l’ultimo atto quello di trasformare l’oro in piombo. Affinché l’equilibrio cosmico non venga turbato occorre che ponga in essere una trasformazione inversa a quella che ha appena operato.
SI COMPLETA IL GIRO DELLA RUOTA
Con passo spedito esce dallo studio, ed incrociando la governante le dice freddo “Credo che il mio studio vada sistemato, se ne occupi lei come al solito. Mi raccomando che non vi acceda nessun altro”, basta un solo incrocio degli sguardi per capirsi meglio che con mille parole. Poi scivola via verso la sua stanza da letto.
Adalberto entra nella stanza da letto lento e sicuro di sé chiudendo la porta dietro le sue spalle. Senza dire una parola prende il telecomando poggiato sull’elegante madia in legno scuro ed attiva l’enorme TV a schermo piatto che è installato sopra la spalliera del letto matrimoniale. Veloce preme il pulsante cam e l’immagine del suo studio appare sullo schermo.
Sciaron è come al solito impegnata a chattare con il suo telefono, “Spero che questa volta tu possa essere più fortunata cara, lo sai che mi dispiace che ogni volta finisce che ti scopino e poi ti mollino facendo crollare le tue aspettative. Ogni volta sembra che tu stia arrivando al traguardo ma un diavolo maligno sposti in nastro in avanti senza che tu possa mai gustare la gioia del traguardo. Ed alla fine torni da me, siamo come due calamite noi due, condannati ad attrarci per sempre senza avere la possibilità di attrarre nessun altro” Lei sa bene cosa accadrà, il rito è sempre lo stesso, si ripete immutabile da quando si sono sposati, lei sa di essere la parte inversa del processo che il Marchese ha avviato nel suo studio.
Adalberto si avvicina alla sponda destra del letto dove è sdraiata Sciaron e le prende delicatamente una spalla invitandola ad alzarsi. La donna indossa un bellissimo babydoll di seta nera ed un minutissimo perizoma dello stesso colore.
Lui la dirige lentamente verso i piedi del letto in maniera che entrambi possano vedere molto bene le immagini sul grande schermo. È sempre gentilissimo lui, mai un’offesa, mai una parola fuori posto le parla sempre con un tono piatto ma educato. Nella stanza si percepisce una tensione che si potrebbe tagliare con un coltello, entrambi sanno bene cosa accadrà ed entrambi sanno che non possono fare nulla per evitarlo anche se per ragioni diverse.
Sciaron sale sul letto appoggiandosi sulle ginocchia e sulle mani mentre Adalberto le si avvicina da dietro sbottonandosi il pantalone, il suo cazzo è già duro, sa ancora della figa di Adelina e preme cam play sul telecomando.
Le immagini di ciò che è accaduto nello studio scorrono sullo schermo mentre l’odore di Adelina permea la stanza e Sciaron osserva silenziosa senza dire una parola, muta.
Adalberto appoggia la cappella contro il buchetto della donna e spinge con forza penetrandola analmente con forza fino in fondo mentre Sciaron inizia a piangere e ad urlare mentre stringe la coperta con le mani sognando che fosse il volto di lui.
“Dai brutto mostro divertiti, rompimi il culo come la scorsa volta, ci sono voluti ben sei punti per arrestare l’emorragia, ti odio” le urla la donna mentre lui continua a scoparla ferocemente, eccitato dalle immagini che scorrono sul video e dall’odore di Adelina che avvolge la stanza.
Lui è impassibile, con lo sguardo perso, che insegue chissà quali pensieri mentre continua a scopare Sciaron con vigore, è impensabile come un uomo così minuto possa avere una tale energia.
Non l’ha mai scopata in figa sua moglie e non lo farà mai, non vuole rischiare che generi un figlio, non accetterebbe mai che il suo DNA si mischi con quello di lei, sarebbe un abominio.
Intanto il culo di Sciaron perde sangue, mentre lei per resistere si masturba e pensa a cosa potrà comprarsi domani in gioielleria con i soldi di quel bastardo, “Si sfogati brutto stronzo, credi di mettermi fuori uso così? Anche con i punti mi farò scopare il culo, alla faccia tua, la figa poi ne prenderà tanti di cazzi visto che a te non interessa. Da domani inizio a scoparmi chiunque, dal giardiniere in poi” continua a sbraitare rabbiosa Sciaron mentre lui assente continua a scoparla.
Non appena sullo schermo passa l’immagine di lui che viene nel culo di Adelina, Adalberto emette un gemito impercettibile ed eiacula nel culo di Sciaron senza proferire parola, silenzioso.
Dopo aver eiaculato estrae il cazzo sporco di sperma e sangue e si abbottona i pantaloni voltandosi e lasciando la donna dolorante sul letto. La trasformazione è avvenuta, l’ultima parte dell’opera, il processo inverso, l’oro che ritorna piombo.
Sciaron, si sente svuotata, si affloscia dolorante sul letto rendendosi conto che lui ogni volta prende qualcosa da lei mentre le da soldi ed una vita agiata. La trasforma, ogni volta di più, dentro di lei vivono tutte le donne che hanno costituito gli attimi speciali di Adalberto mentre dentro di loro vive una parte di lei, della vecchia Sciaron, quella sicura di se, spavalda che voleva conquistare il mondo mentre la nuova Sciaron scivola ogni volta un poco più giù.
È come se lui volesse che lei si desse a più uomini possibile, che precipiti nell’abisso del vizio, che desse via il suo corpo con la speranza di scappare via da lui per poi tornare e ricominciare il suo viaggio verso l’abisso.
“Vado a fare la doccia” le dice calmo Adalberto dopo aver spento lo schermo e senza neppure darle uno sguardo.
L’opera è compiuta, la ruota degli attimi può ricominciare a girare
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore.
Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.